Nel cinquantenario dalla scomparsa di Pier Paolo Pasolini (1975- 2025), "Una vita violenta" si fa teatro della sua eredità più scomoda: quella dell’uomo che non ha mai smesso di dire la verità.
Tra i margini di una Roma che cambia volto, spinta verso il consumismo e il compromesso, un intellettuale disilluso e un ragazzo di borgata si incrociano per caso. Diversi in tutto, ma entrambi irrimediabilmente fuori posto. Lui scrive articoli che nessuno vuole più leggere. L’altro vende il corpo, ma conserva una fame disperata di senso. Insieme cercano di sopravvivere a una società che li respinge: l’uno con le parole, l’altro con i pugni. Attorno, il rumore della televisione, dei palazzi che si alzano sulle rovine, delle voci che non ascoltano. È una storia d’amore? Di politica? Di resistenza? Forse è solo un tentativo estremo di restare umani. In scena, poesia, rabbia, carne e memoria si fondono per raccontare non solo una vita difficile, ma necessaria. Come quella di Pasolini.
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